Antonio Schiavano è un fotografo, originario di Bari, che ha sviluppato uno stile versatile, lavorando sia in ambito commerciale che artistico.
Noto per le sue collaborazioni con importanti marchi internazionali, Schiavano combina precisione tecnica con un forte senso estetico, creando immagini sofisticate per campagne pubblicitarie e cataloghi.
La sua capacità di sperimentare si è distinta nel 2016, quando Huawei lo ha scelto per testare le fotocamere degli smartphone, apprezzando il suo occhio tecnico.
Durante la pandemia, ha approfondito la fotografia fine-art, utilizzando la luce e i dettagli per esplorare temi personali e narrativi, come visibile nei progetti artistici raccolti nel suo libro Ri-nascita.

Artàporter ha voluto conoscere meglio l’artista ponendogli alcune domande.

Cosa rappresenta l’arte per te?

L’arte, per me, rappresenta una forma di espressione profonda, un linguaggio che va oltre le parole e permette di comunicare emozioni, pensieri e visioni che altrimenti rimarrebbero inespressi. È uno strumento potente per esplorare la realtà e, allo stesso tempo, per trasfigurarla, creando mondi nuovi e prospettive inedite. L’arte è libertà, è la possibilità di rompere le regole e sfidare le convenzioni, ma è anche ricerca, un viaggio costante verso la comprensione di sé e del mondo. Attraverso l’arte posso rivelare aspetti nascosti dell’animo, mettere in discussione le apparenze e invitare chi osserva a guardare oltre la superficie. È un atto di introspezione, ma anche di condivisione, un modo per connettermi con gli altri attraverso un linguaggio universale.

 

 

Come  e quando ti sei avvicinato all’arte?

Mi sono avvicinato all’arte in modo graduale, quasi senza accorgermene, quando ero adolescente. Crescendo in una famiglia di poeti e pittori, l’arte è sempre stata presente intorno a me, ma inizialmente non sapevo quale fosse il mio modo di esprimermi. Ho provato con la chitarra, ma non era il mio linguaggio. La vera svolta è arrivata quando, a 17 anni, mio padre mi ha regalato la mia prima macchina fotografica. Quel gesto ha cambiato tutto. Da quel momento la fotografia mi ha offerto la possibilità di esprimermi senza bisogno di parole, di esplorare il mondo e me stesso attraverso l’obiettivo. È stato un processo graduale tra lo sperimentare e lo studiare da autodidatta alla ricerca del mio stile. Ogni scatto era una scoperta, un modo per raccontare la realtà attraverso il mio sguardo personale. L’arte è diventata non solo un modo di vivere, ma anche una ricerca costante di significato e bellezza. Tutto questo ha assunto un’importanza ancora maggiore durante la pandemia perché in quel periodo di forte costrizione ho sentito ancora più pressante la necessità di ridefinire non solo la mia arte, ma anche un mio spazio personale.

Qual è la tua maggiore fonte di ispirazione?

La mia maggiore fonte di ispirazione è la realtà che mi circonda, ma soprattutto i dettagli nascosti, quei frammenti che spesso sfuggono allo sguardo superficiale. Mi ispirano la bellezza dell’imperfetto, le emozioni autentiche e la luce, che per me è lo strumento principale per raccontare storie. Ogni cambiamento di luce, ogni sfumatura può trasformare un momento ordinario in qualcosa di straordinario. Anche le persone che fotografo, con le loro imperfezioni e unicità, sono una fonte inesauribile di ispirazione. Mi affascina la loro autenticità, la capacità di esprimere emozioni profonde anche senza parlare. Catturare questi momenti di vulnerabilità, di forza o di pura bellezza è ciò che mi spinge a scattare. Inoltre, sono sempre in ricerca costante: libri,arte visiva, cinema, la natura stessa, tutto può darmi un’idea, uno spunto. Il mondo è pieno di storie da raccontare, e ogni giorno offre nuove possibilità di esplorare la vita attraverso la fotografia

 

I riferimenti artistici e culturali che ti hanno maggiormente influenzato nel corso del tempo?

Nel corso del tempo, sono stato profondamente influenzato da una serie di riferimenti artistici e culturali che hanno plasmato il mio approccio alla fotografia. Tra i fotografi, Robert Mapplethorpe e Helmut Newton sono stati due figure chiave. La loro capacità di fondere estetica, provocazione e ricerca della perfezione formale mi ha sempre affascinato, ma il mio percorso è stato un mix di influenze visive, letterarie e culturali che hanno modellato il mio modo di vedere il mondo, spingendomi sempre a cercare un equilibrio tra l’estetica e l’emozione.


Quali emozioni speri di suscitare negli osservatori delle tue opere?

Spero che le mie opere suscitino negli osservatori una gamma di emozioni che vada oltre l’estetica superficiale. Vorrei che, guardando le mie immagini, le persone sentano una connessione profonda con il soggetto, un’emozione che li tocchi in modo personale. Mi piace pensare che le mie opere possano evocare introspezione, un senso di intimità o vulnerabilità, ma anche meraviglia e curiosità. Quello che vorrei davvero è che le persone non solo vedano, ma “sentano” le mie immagini, che restino con loro anche dopo averle guardate, lasciando una traccia emotiva duratura.

 

C’è un messaggio particolare che cerchi di comunicare attraverso le tue opere?

Attraverso le mie opere, cerco di comunicare un messaggio semplice ma potente: la bellezza risiede nell’autenticità e nell’imperfezione. Voglio trasmettere che c’è forza nella fragilità, che i dettagli più sottili, le piccole imperfezioni, sono quelli che raccontano le storie più profonde. In un mondo che spesso tende a uniformare e omologare, il mio obiettivo è celebrare la diversità e l’unicità di ogni individuo,catturando la loro essenza più vera. Alla base di tutto, il mio messaggio è un invito a guardare oltre la superficie e ad apprezzare la bellezza che emerge dalle differenze e dalla complessità dell’esperienza umana.

 

Qual è il ruolo dell’imperfezione nella tua arte?

L’imperfezione è al cuore della mia arte. È ciò che rende i miei soggetti autentici,umani, e soprattutto interessanti. Nella mia visione, l’imperfezione non è un difetto da correggere, ma una caratteristica da valorizzare. Le piccole asimmetrie, le imperfezioni della pelle, i dettagli che sfuggono alla perfezione costruita, sono tutti elementi che raccontano una storia. Questi aspetti, spesso considerati “non ideali,”sono quelli che donano personalità e profondità alle mie immagini. Il ruolo dell’imperfezione nella mia fotografia è proprio quello di sfidare le convenzioni estetiche tradizionali. Mi piace catturare quei tratti che rendono una persona unica,quei momenti in cui l’essenza vera emerge senza filtri perché credo fermamente chela bellezza risieda proprio in tutte quelle particolarità, che per molti possono essere considerate appunto delle imperfezioni, ma che in fin dei conti fanno parte di quelle differenze che ci definiscono.

 

Le opere di Antonio Schiavano saranno esposte nella mostra collettiva che si terrà dal 28 ottobre al 3 novembre presso il Con/Temporary Spaces Santa Teresa, in occasione di Diffusissima x Torino Art Week 2024.
Il pubblico potrà ammirarle dal vivo durante il vernissage del 28 ottobre, alle ore 17:30.
Le opere sono inoltre disponibili per l’acquisto online qui. Scoprile tutte!