Daniele Mazzoleni è un artista milanese, classe 1970.
Dal 2000 frequenta arte e design. Fino al 2014 ha realizzato opere di artdesign autoprodotto con il brand Neroacciaio, esponendo in importanti fiere e gallerie in Italia e nel mondo. Dopo un lungo periodo di sperimentazione e riflessione è tornato a ottobre 2023 con una personale dal titolo “Tra la perduta gente” a cura di Luca Cantore d’Amore a Milano per la Galleria Cru de art. A febbraio 2024 ha partecipato, sempre a Milano, ad Unfair, con un solo show.
Dai primi quadri a olio fino ai successivi in resina, affronta temi legati all’attualità: l’ipocrisia della politica, il rispetto per la natura (soprattutto umana), le limitazioni della libertà, la necessità di rilettura di fatti storici e di attualità, la fame ostinata di giustizia. Messaggi veicolati con un linguaggio ironico e irriverente.
Artàporter ha voluto conoscere meglio l’artista ponendogli alcune domande.
Cosa rappresenta l’arte per te?
Sono cresciuto in una famiglia di artisti, il nonno pittore, lo zio musicista e cantante, la mamma ceramista. In questo ambiente si è formato il mio gusto orientato alla ricerca dell’armonia, di ciò che ti fa stare bene. Negli ultimi tempi ho maturato una sensibilità particolare al linguaggio rappresentato dall’arte, e la vivo come un veicolo efficace per esprimere idee e punti di vista.
Come e quando ti sei avvicinato all’arte?
Mi sono avvicinato all’arte verso i vent’anni, gli studi di architettura mi hanno condotto al mondo del design. Per alcuni anni, in una continua sperimentazione di materiali, ho prodotto oggetti di illuminazione e arredo. Ho approfondito e studiato l’utilizzo delle resine epossidiche, e ho iniziato a realizzare quadri con questo materiale, affinando sempre più la tecnica.
Qual è la tua maggiore fonte di ispirazione?
La mia fonte d’ispirazione è la realtà quotidiana, il mondo in cui ci troviamo oggi a vivere, con le sue contraddizioni. E quelle persone, del passato e del presente, che non scendono a compromessi e non accettano le ingiustizie.
I riferimenti artistici e culturali che ti hanno maggiormente influenzato nel corso del tempo?
L’armonia primitiva di Paul Klee, il minimalismo e le geometrie pure di Malevich, i contrasti tragici di Rothko e l’architettura organica di Frank Lloyd Wright.
Personaggi come Adriano Olivetti, Aldo Moro, Federico Caffè, Enrico Mattei e Giovanni Falcone.
Chi decide oggi che cos’è arte? C’è una differenza rispetto al passato?
Credo che oggi come in passato sia il pubblico a decidere cosa sia “arte”. Se un’opera stupisce, emoziona, tocca le corde di chi la guarda, allora verrà riconosciuta come arte.
È il pubblico che è cambiato rispetto al passato. Oggi siamo un po’ assuefatti alla volgarità, alla violenza, alla banalità superficiale, ci lasciamo rapire meno frequentemente da stupore e meraviglia.
Il tuo rapporto con i colori? E col bianco e nero?
La mia produzione, fin dai tempi dell’art design, è sempre stata coloratissima. I rossi accesi, i verdi, gialli, blu, colori potenti e brillanti, che usavo per realizzare quadri ma anche piani di tavoli o lampade.
Nel mio ultimo ciclo di opere (“Tra la perduta gente”) invece ho lavorato moltissimo sul contrasto del bianco/nero, forse perché sentivo il bisogno di esprimere dei concetti con un certo rigore.
La tentazione dei colori però è per me irresistibile, e finché non ho inserito dei dettagli colorati non riuscivo a vedere l’opera conclusa.
Un tuo sogno nel cassetto?
Più che un sogno è un progetto, visto che l’aereo da qualche anno mi fa paura, vorrei fare il giro del mondo in camper e barca.
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