Carlo Di Giacomo è un fotografo Fine Art nato a Roma. Per esprimere la sua arte utilizza attrezzature digitali, analogiche e Polaroid.
Si occupa principalmente di landscape, micro e macro, people, urban landscape, reinterpretando i temi in modo esclusivo. La sua tecnica preferita è il mosso e si avvale principalmente del colore.

Artàporter ha voluto conoscere meglio l’artista ponendogli alcune domande.

Cosa rappresenta l’arte per te?

Per me l’arte in generale e la fotografia nello specifico rappresentano la possibilità di esprimere ciò che vedo e “sento”, interpretando la realtà senza alcun limite. Quando il limite è dettato invece dall’attrezzatura fotografica, allora diventa una sorta di sfida che mi spinge fino al raggiungimento delle immagini che desidero realizzare, che non sono altro che espressione del mio mondo interiore.

Come  e quando ti sei avvicinato all’arte? 

Da bambino ero dislessico, mi fu diagnosticata 25 anni dopo, e negli anni settanta se non imparavi tutto a memoria, poesie, tabelline, date di nascita e di morte dei personaggi storici o i confini geografici degli stati eri considerato un menomato. Quando inserirono il doposcuola con tantissime discipline artistiche iniziai a primeggiare in ognuna di queste e mi resi conto che quel canale era quello di cui avevo bisogno.

Qual è la tua maggiore fonte di ispirazione?

Ho avuto la fortuna di essere allievo di tre grandi maestri della fotografia mondiale, Larry Fink, Franco Fontana e Joan Fontcuberta, che sono stati per me una grande fonte d’ispirazione, ma amando l’arte in genere lo sono anche Mark Rothko e alcuni impressionisti.
Questo si evidenzia nella mia ultima ricerca intitolata INNER LANDSCAPES.

I riferimenti artistici e culturali che ti hanno maggiormente influenzato nel corso del tempo?

Amo molto il cinema e il teatro e forse questo è uno dei motivi per i quali utilizzo spesso il linguaggio del “mosso”, ma anche la musica per me rappresenta una spinta a creare, seppur con un linguaggio tecnico differente. Quando faccio un esposizione delle mie fotografie mi piace integrare con altre discipline artistiche, invitando musicisti e attori, come una vera e propria performance.

Chi decide oggi che cos’è arte? C’è una differenza rispetto al passato?

Posso parlare soltanto della mia esperienza diretta e avendo iniziato negli anni novanta ho riscontrato che nel passato erano i galleristi che determinavano cos’era arte e quali gli artisti meritevoli. Poi dopo la crisi politica e la caduta della prima Repubblica sia le gallerie che gli editori chiudevano i battenti con una rapidità sconcertante. Ora molte gallerie, ma non tutte, funzionano come affittacamere, ovvero se paghi puoi esporre senza una selezione preliminare e senza una reale e appropriata curatela. In questo modo i tanti giovani talenti non hanno possibilità di emergere perché non vengono guidati artisticamente né sostenuti economicamente, cosa che prima avveniva ed io stesso ne ho avuto esperienza diretta. La differenza con il passato è che le persone ora non hanno bisogno di essere imboccate dai galleristi e dai critici d’arte per poter scegliere quello che gli piace, anche perché ormai tutti sono “educati” all’immagine. Se invece prendiamo in considerazione le grandi gallerie di fama mondiale, riscontriamo ancora quel modus operandi del passato, soprattutto perché i collezionisti che acquistano attraverso di loro investono somme importanti e vogliono essere giustamente garantiti.

Il tuo rapporto con i colori? E col bianco e nero?

L’essere umano vede a colori, quindi è più difficile essere attraente con le immagini a colori piuttosto che con il bianco e nero che già intrinsecamente poetico. Questo non limita però la mia scelta, infatti amo usare entrambi i linguaggi, infatti nel caso della mia ultima esposizione “POLARCHEOS” ho realizzato tutte le immagini in polaroid anni 70/80 con pellicole originali che ho poi scannerizzato per renderle di grande formato.
Il risultato ottenuto è stato quello di fotografie tendenti al color seppia…

Un tuo sogno nel cassetto?

Dopo aver fatto una lunga esperienza espositiva a New York collaborando con questa galleria dove ho imparato che quando un team è ben organizzato e affiatato si possono raggiungere grandi risultati, ho cercato di replicare a Roma la stessa esperienza, aprendo insieme ad un socio una galleria nel quartiere di Testaccio, che abbiamo chiamato MICRO, sia perché di piccole di dimensioni sia perché collocata a pochi passi e quindi all’ombra dal grande centro espositivo MACRO Testaccio. Abbiamo cercato di creare un collettivo di artisti di ogni età e provenienza ma ci siamo scontrati con una burocrazia che non ci permetteva mai di procedere con la rapidità e la fluidità di cui avevamo bisogno, pertanto dopo un anno e mezzo abbiamo deciso di chiudere. Dunque il mio sogno è quello di un collettivo di artisti, indipendenti, liberi, che possano collaborare tra loro e che abbiano la possibilità di esporre la loro arte anche in location non convenzionali, per raggiungere il maggior pubblico possibile. Ed è per questo che ho scelto di collaborare con Artàporter!

Come hai conosciuto Artàporter?

Ho conosciuto Artàporter navigando su internet ed è stata una bella scoperta…

Le opere dell’artista e fotografo Carlo Di Giacomo sono acquistabili online sul sito di Artàporter: scoprile tutte qui!